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il famoso fornello omnifuel

Trovate schegge di una porta di gher che ci hanno concesso un fuoco di legna!!!!

per questo viaggio sapevo di non poter contare sul mio fidato fornellino ad alool. Pensavo che il motivo sarebbe stato il freddo, intorno allo zero ha sempre tribolato.
Invece..non posso usarlo neanche adesso che la temperatura è normale: la bottiglia più grossa che io abbia trovato era da 50 ml.

La bottiglia di alcol più grande che ho trovato

In questo paese la piaga dell’alcolismo raggiunge livelli esagerati e le persone all’ultimo grado della disperazione si compravano l’alcol denaturato perchè più abbordabile e lo bevevano come se fosse commestibile. Risultato: l’alcol non si trova più e chi lo cerca viene visto con sospetto da tutti i redentori.
Niente alcool.
Mi ero procurata un fornello omnifuel garantito come imbattibile per qualsiasi combustibile: nafta, gasolio, benzina, gas (con le apposite bombole prodotte da questa marca introvabile qui, da escludere), combustibile liquido studiato appositamente per questo fornello (introvabile qui, da escludere).

L’ultima acqua calda

L’ho provato a casa con la benzina che si trova da noi e ha funzionato perfettamente.
-bene, la benzina la troverò dappertutto, è piccolissimo, stabile e fa una bella fiamma. Questo fornellino sarà un’ottima soluzione!
Invece..la prima volta che l’ho usato con la benzina che si trova qui, ha funzionato malissimo. Pensavo di aver sbagliato qualcosa io ma il mattino dopo è andato ancora peggio. Smonta tutto, pulisci gli ugelli ogni volta che la fiamma tramonta, niente.
Di male in peggio finchè non si è più acceso.
Perso per perso lo smonto in ogni sua parte: le guarnizioni della pompa che dovrebbe spingere la benzina verso il bruciatore sono completamente corrose. La benzina di qui, evidentemente non rientra in nessuna categoria omnifuel. L’ho rimontato anche se avrei voluto seppellirlo.

Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior…….

Qui non c’è neanche legna, trovarne è una gran fortuna, l’unica soluzione è stata la cacca di yak, unico combustibile facilmente reperibile. Per tre giorni abbiamo cucinato con quella e intanto Boldoo se la rideva: là in Italia non sapete neanche che cos’è un fornellino, questa diavoleria della benzina è proprio una cosa da poveracci. Noi abbiamo i fornelli a gas!
E così, al primo centro abitato di dimensioni plausibili siamo andati in un supermercato e abbiamo comprato questo meraviglioso fornello a gas che solo i mongoli sono stati in grado di inventare: dimensioni della valigetta che corrispondono al contenuto: 35 x 25 cm, peso: 1,5 kg, combustibile in bombolette che duranoo due pasti e due caffè.
In mancanza d’altro mi devo adeguare, vorrà dire fare una montagna di immondizia e occupare un’intera bisaccia con questa chiambergia (non è una parolaccia: è una parola inventata da Gigi Giancursi per descrivere una cosa poco utile e molto voluminosa che ha come principale occupazione nella sua vita di oggetto quella di ingombrare). In questo momento non solo è utile, ma indispensabile perchè non ci sono altre soluzioni.
Boldoo è tutto contento perchè finalmente mi sono evoluta e preso dall’entusiasmo ha persino cucinato per la prima volta da quando siamo partiti.

La chiambergia in funzione è sullo sfondo il povero Graffio che se la deve portare.

Pascolo povero

Un attimo prima di sellare dopo la sosta di mezzogiorno

Yesulen è riuscita ad ottenere il permesso di esportare dalla Mongolia Azimuth e Tgegherè. Ha passato una giornata infernale da un ufficio all’altro.

I documenti che permetteranno ad Azimuth e Tgegherè di uscire dalla Mongolia. Manca ancora il consenso della Russia.

Noi intanto avanzavamo lasciandoci alle spalle Kharakhorin.
L’antica capitale è stata un istante nella storia di questa terra di nomadi. Alfredo dice che anche nel momento di massimo splendore, nessuno stava lì in estate: troppo calore e insetti. Le persone importanti lasciavano la città è andavano ad accamparsi nelle montagne. Al fresco.
Magari stiamo andando verso quei posti. Nessuno sa più quali fossero.

Arido e piatto per trenta chilometri

La pianura che si allarga intorno all’Orkhon a nordovest di Kharakhorin è un continuo orizzonte arido. Non ci sono più famiglie che la abitano perché il pascolo esagerato delle capre da cachemire ha impoverito la terra che si è coperta di piante basse e grassottelle immaginabili per qualsiasi erbivoro.

Cachemire

La distanza tremolava nel calore mentre la attraversavamo. L’abbiamo alle spalle. Intorno a noi si alza il profilo di valli affluenti e da oggi saliremo di quota.

Finalmente dell’acqua che corre. Il primo ad accorgersene è stato Azimuth.

Azimuth e Tgegherè sono in forma e avanzano generosamente. Graffio bisogna convincerlo. Non so se potrò contare su di lui per molto.

Graffio e la sua sella

Boldoo la guida

2018_06_11 Kharakhorin

Il sindaco di Kharakhorin Enkhtur, Giorgio Marengo e due consiglieri di Kharakhorin mentre si raccomandato con Boldoo, la guida di occuparsi di me e dei miei cavalli con responsabilità.

il sindaco di Kharakhorin si chiama Erdenbat. Kharakhorin è stata la capitale dell’impero mongolo per un istante,
nel giro di un paio di generazioni è stata trasferita a Pechino.
In quell’istante della storia dell’umanità era partito il grande viaggio di devastazione e conquista verso ovest.
Non si può credere nella pace se si dimentica la guerra. Per questo dovevo partire da qui.

Giorgio Marengo e Tgegherè di fronte a una delle gher della missione di Kharakhorin

Giorgio Marengo, missionario della Consolata che vive ad Airvakher da 15 anni, gli ha raccontato l’idea di Mare di erba e gli ha chiesto se poteva essere lui a consegnarmi la freccia.
Lui ha chiesto a una famiglia di fiducia di ospitarmi ieri sera, si è incaricato di trovare una guida e stamattina mi ha consegnato la freccia.

Purebsuren

La famiglia che mi ha ospitata era una coppia di nonni con qualche mucca, qualche capra e i cavalli.
Una fila di quattro gher in mezzo a un tappeto di erba che sogna la pioggia.
Insieme abbiamo guardato i cavalli, li abbiamo fatti bere e poi abbiamo bevuto del tè salato al latte.
Ho montato la tenda e ho riposto tutto il materiale all’interno. Ho dormito lì di fianco. Ogni cavallo era legato
a un picchetto piantato a terra con una corda lunga 14 metri. Non hanno mai alzato la testa se non quando si
sono coricati. Tgegherè si è accucciato prima di tutti e si è messo a mangiare da seduto.
Sembrano felici.

Boldoo, guida a cavallo di Kharakhorin che mi accompagnerà fino a Bayan Olgi

Ieri pomeriggio ho conosciuto Boldoo: la guida. In teoria tra le richieste c’era quella che parlasse inglese,
francese o tedesco, lui sa dire buongiorno in ognuna di queste lingue, ma ha detto che non ci sarà problema
perchè tanto io posso imparare il mongolo..Non credo che ci riuscirò, so che stamattina nei quindici kilometri
dal campo di stanotte alla città abbiamo parlato tutto il tempo: lui in mongolo e io in italiano.
Vedremo!!

Un’arciere fa i suoi archi

Batmunch Tumurkhuu è campione nazionale di tiro con l’arco. Era insenante di stora e geografia quando ha cominciato a tirare e poi a costruire i suoi archi. Lavorava con la moglie con cui aveva studiato. Continua a lavorare con lei che lo assiste.  La freccia che vorrei portare a Cracovia con questi tre cavalli la ha fatta lui così come vengono fatte le frecce da mille e mille anni in queste steppe.

Non sono riuscita a tradurre il nome dell’essenza del legno che mi è stata presentata come hornbow ed è solo l’anima di un’ingegneria complessa fatta di diversi materiali che mettono al servizio di precisione e potenza di tiro tutte le loro qualità.
Legno, corno, cartilagini sciolte a bagno maria per ricavare la colla, tendini, corteccia di betulla, resina.

archi in fabbricazione

Chi sa ancora trattare questi elementi è sempre più raro. Sa mischiare vegetale ed animale per permettere al terreno di solcare l’ultraterreno.

Un arco tradizionale mongolo richiede un anno di preparazione: ogni materiale viene steso, messo in tiro ed essicato in modo che esprima al meglio le sue qualità.
Un arco moderno richiede acquisto dei componenti e assemblaggio.

Hanno trovato archi compositi costruiti con questa stessa logica in sepolture dell’epoca di Attila. Gli unni, molto prima dei tartari percorsero in un onda di conquista tutte le steppe e arrivarono fino alle porte di Roma.
Quello che li rendeva micidiali erano la loro cavalleria e le loro armi.

Batnyama e suo marito vivono a Ulan Bator da molti anni ma sono originari di Gov-Altai. La sella e gli archi sono qui, ma i loro cavalli sono là. Laggiù c’è un ovoo molto grande fatto di rami di alberi contorti e diritti. Ogni anno tornano là dai loro cavalli in occasione del piccolo Naadam che ogni anno viene dedicato a quell’ovoo. Il tiro con l’arco è la disciplina in cui si affrontano gli anziani, è una disciplina micidiale vincolata alla saggezza.

Boma, la figlia di Batmunch e Batnyama ha studiato inglese e tedesco e cura un sito con cui mette in comunicazione l’arte dei suoi genitori e il resto del mondo, ci sono archi fatti da loro in 51 paesi di questo mondo. Per chi fosse interessato a saperne di più, questi sono i loro contatti:

www.mongolianarchery.com
info@mongolianarchery.com
FB: batmunkhtumuurkhuu

Meglio tenere conto che da adesso a luglio la richiesta di archi tradizionali lievita in preparazione al Naadam. Da agosto in poi c’è ancora qualche turista di passaggio, ma la stagione in cui Batmunch e Batnyama sono più disponibili è l’inverno.

nudi e crudi

Questo è il posto è questi sono loro. Non vedo l’ora di essere a Kharakhorin. Là l’erba è già cresciuta e dovremo solo più metterci in pista.

partire sono partita, mi trovo a Ulan Bator,
sellare, ho sellato poco: per rientrare dalla bottega del fabbro. fare qualche prova dell’equipaggiamento e scoprire i nomi dei cavalli.

Azimuth
Gegherè
Graffio

Per il resto ci sono stati molti ritardi. I documenti per i cavalli mi hanno obbligata a correre su e giù per la capitale. Finalmente da martedì sono nelle mani di una persona che non si arrende davanti a niente e la prospettiva di partire davvero comincia a materializzarsi.

Dovrò ridimensionare l’itinerario e tirare dritto a Tsaganuur di Bayan Olgi rinunciando a tornare dagli uomini renna. Il visto per la Mongolia è di tre mesi e da lì non si scappa. All’Ambasciata italiana di Ulan Bator sono stati rigidissimi.

Ferratura selvaggia

2018_05_15 Erdene Sum

L’unico modo per avere cavalli e forgia nello stesso posto era partire dal campo in sella e raggiungere l’officina per l’una. Rakhman ci ha fatto sapere di avere un lavoro importante da finire in mattinata e di non poterci mettere a disposizione gli attrezzi fino al pomeriggio.
Gaby è arrivata alle 11, Andrea doveva essere accompagnato in auto per portare ferri e attrezzature e l’ho aspettata con i cavalli sellati. Due ore e mezza di trotto e galoppo per arrivare in tempo con questi tre benedetti cavalli. Tempesta di sabbia contro vento, tanto per semplificare la vita a tutti. All’arrivo i cavalli non erano neanche sudati. Mi chiedo cosa animi questi piccoli animali.

con Gaby sulla via per Nallaikh
sullo sfondo una fila di condomini nati non si sa come in mezzo a un pascolo di velluto, svetta la ciminiera della centrale termoelettrica che alimenta il riscaldamento.

Fino alle tre del pomeriggio la forgia non si è messa in movimento, intanto si addensava il pubblico. Rakhman aveva ingaggiato quattro energumeni per ribaltare i cavalli come usa fare qui quando capita di dover ferrare e ognuno si è portato il suo assistente.
Azimuth è stato egregio. Non ha nessuna abitudine ad alzare i piedi. Gli anteriori ce li ha concessi quasi tranquillamente. Andrea ha pareggiato con la sua tenaglia e Rakhman gli stava alle spalle con flessibile e prolunga per soccorrerlo con i suoi metodi, per fortuna è filato tutto liscio e il flessibile è tornato al suo posto.
Questi cavalli non sono stati abituati ad alzare i piedi e si sono ribellati molto. Un piede per volta Andrea ha sistemato tutti i ferri e adesso loro tre sono pronti per partire, la sua schiena non lo so.

anteriore sinistro di Baffo, il cavallo più fifone del mondo

Li abbiamo sistemati da un amico di Baghy che aveva del fieno e i bambini ci hanno portato dell’acqua. Siamo ripartiti in sella il mattino dopo per rientrare al campo con un andatura civile, abbiamo impiegato più di cinque ore a fare la stessa strada del giorno prima. La giornata era tiepida, il terreno morbido e i ferri su quel velluto non facevano rumore.
Andrea è maniscalco e cavaliere, la sua presenza è stata fondamentale sia per la professionalità che per i rapporti con le persone del paese.

un gaucho italiano prova la sella di legno dei mongoli con staffatura impeccabile

forgiatura a tiepido

2018_05_12 Naillakh

arrivati all’aeroporto alle sette del mattino dell’11, ci siamo subito imbarcati nella ricerca del ferro passando da un magazzino all’altro. Nessuno aveva delle barre di 20 x 10, ma ci hanno proposto tutti i più svariati collage dicendoci di essere l’unico magazzino della città.
ci siamo rassegnati a farcele tagliare da una piastra spessa un centimetro, un ragazzo ha preso un flessibile e le ha tagliate a mano libera con tutti i risvolti artistici del caso!
il fabbro che ci ha messo a disposizione la sua officina era un kazakh con i denti d’oro e i baffi. si chiama Rakhman e sta a Naillakh, a 25km dal campo dove vivono i cavalli.

ritrovati i cavalli al campo. Una volta prese le misure dell’attrezzatura disponibile per la ferratura, siamo andati al campo per verificare le misure dei piedi dei cavalli. L’impressione è stata un po’ spaventosa, sono molto magri, l’inizio del viaggio richiederà molta attenzione.

La preparazione dei ferri ha richiesto una giornata: la forgia era minuscola e il carbone era polvere di carbone con un’elevata percentuale di scorie. Rakhman ci ha messo a disposizione il suo materiale e si è imposto come fuochista al povero Andrea che metteva i ferri a scaldare come gli serviva e se li trovava spostati e mischiati in modo che fossero tiepidi sempre nel punto sbagliato.

L’officina di Rakhman è su misura per la sua idea di fabbro. Lui lavora da seduto e quindi l’incudine era a 30 cm da terra. sopra l’incudine c’era la traversa della piccola tettoia sotto cui sono riparate le attrezzature.

Ogni volta che Andrea cercava di togliere delle scorie per permettere al fuoco di scaldare il ferro, Rakhman si arrabbiava. Sembrava che per lui fosse indice di qualità estrarre le barre dal fuoco tutte impanate di polvere di carbone e scorie. Andrea non ha mai perso la pazienza.
Non so se rendo l’idea del delirio di una persona che sta cercando di fare un lavoro preciso e ogni volta che deve aggiungere una carta al castello si ritrova tutte quelle già sistemate che volano per aria. una giornata per fare un lavoro che, se fosse stato da solo avrebbe richiesto tre ore.
Non importa, siamo riusciti ad andarcene con tutti i ferri in un sacchetto di stoffa prezioso come una collana di diamanti.

Andrea Pomo, la famosa Incudine russa e le tre ferrature con i due ricambi.

Viaggio in Mongolia di Marco Preti

Uno sguardo attento. Un rispetto per l’altro. Un viaggio fuori dal comune per motivi, compagni di viaggio e destinazione.

La Mongolia del 1996 era già un ricordo quando ho potuto andarci per la prima volta. Questo documentario rimane documento dell’anima di un popolo. un’impressione onesta. Molti spiragli di riflessione.

passo in avanti

Il crowdfunding é al capolinea, ogni tassello compone il quadro in maniera indispensabile, aspetto che eppela  mi invii l’elenco di chi ha partecipato per potervi ringraziare personalmente.

branco di cavalli mongoli spinti verso il gregge di nuvole che pascola in cielo da un unico cavaliere come il re dello spazio nella terra dal vasto orizzonte

Mongolia 2007

Monumento vivente

una enorme statua di acciaio domina la valle. Rappresenta un cavaliere, dicono che fosse Gengis Khan. In questo posto perdette la faretra quando riuní in un patto comune I suoi piú fedeli cavalieri.

Stavo per tornare in Italia e la fine dell’ultimo giorno al campo mi ha donato questa visione: un branco di cavalli era andato a pascolare sulla strada asfaltata e il loro mandriano stava andando a riportarli ai propri pascoli.

Il suo trotto corrspondeva come proiezione reale di un’idea alla posizione della statua. So per certo che lui non era Gengis Khan, ma l’impressione di un monumento in movimento é stata il saluto di un tramonto reale da non dimenticare.

Oggi è l’ultimo giorno del crowdfunding. La meta é già stata superata da diversi giorni. Chiedo comunque a chi verrà ancora contribuire di partecipare. Molte incognite attraverseranno questo cammino. Le affronteró a spalle aperte, ma sapere di poter contare su molte persone qui rende tutto piú leggero.