Ombrello

Col de la Dormilleuse, duemilaquattrocentoquarantacinque metri sul livello del mare, pomeriggio di fine settembre, aria immobile, venticinque gradi e sole a picco.
Scendo sul sentiero che porta a Chalet des Acles e ammiro lo spettacolo della quiete di quel posto. In mezzo alla quiete c’è una mandria di manze ruminanti assopite, e in posizione dominante su un piccolo promontorio sporgente il berger, che dorme all’ombra di un ombrello a scacchi rossi e verdi. Qualsiasi cosa accada, il suo cane lo avvertirà.

L’ombrello è nato come parasole, un’oggetto da nobili che devono mettere in mostra la loro superiorità di persone che sanno vivere senza sporcarsi le mani, nè farsi bruciare dal sole. La pelle candida è sinonimo di sangue blu.
Solo recentemente qualcuno si è accorto che poteva essere utile anche per ripararsi dalla pioggia. Quando questo è successo, sono stati di nuovo i signori i primi a giovarne. il popolo si proteggeva dalla pioggia con cappelli, cappucci e mantelli.

Una primavera sommersa, grasso sugli scarponi e sulla sella, cera sull’impermeabile, appretto sul cappello. Si può marciare comunque.
Quel giorno era stato terribile: era appena finito il terzo temporale della giornata, uno di quei temporali in cui sembra che il cielo stia davvero per precipitare sulla terra. Tra un temporale e l’altro, tutti della stessa forza, il sole aveva inondato feroce e rovente la valle, era già maggio e, anche se sotto il diluvio si faceva sentire sotto la pelle un freddo fradicio, la luce tra un nuvolone e l’altro era abbagliante e il calore umido obbligava ogni volta a togliersi tutti gli strati accumulati, per difendersi dal freddo e dalla pioggia.
Lega l’impermeabile alla sella e il maglione alle bisacce.
Rimetti il maglione e l’impermeabile.
Lega, slega, marcia.
Nebbia, fuori dalla nebbia, spettacolo di luce e nubi che corrono veloci.
Ventata di avvertimento, di nuovo l’impermeabile e il cappello.
Sole.

Raggiunta una borgata di mezza montagna di fianco alla mulattiera, mi fermo per togliermi di nuovo l’impermeabile.
L’acqua della fontana è molto buona e ci sono delle persone.
Martino vive lì e Sergio porta le pecore al pascolo nel prato di fronte, ogni volta che passa, si ferma a prendere un caffè.
Sono arrivata in quel momento e con la giornata di marcia addosso, ho notato un ombrello appeso fuori, di fianco alla porta.
Tela spessa, colore marrone, manico, astine e punta di legno.

Immagino di appendere di fianco alla sella un ombrello come quello, a foggia di fucile, per potermi difendere da giornate così variabili, senza dover rimontare l’equipaggiamento ad ogni battaglia di nubi. In fondo la battaglia di questa giornata era contro le nubi e come affrontarle se non con un ombrello?

Il discorso cade sull’ombrello: una volta Sergio non partiva mai senza dalla bergeria. In qualsiasi momento aveva un riparo sicuro dalla pioggia e dal sole e quando gli poteva far comodo lo usava anche da bastone per aiutarsi nella marcia. Al mercato c’era un banco che vendeva campane per mucche, cavalli e pecore, filo elettrico e paletti per il recinto, stivali e tutto quello che poteva servire a chi lavorava con gli animali. In questo banco si potevano trovare degli ombrelli bellissimi, parenti di quel bell’ombrello marrone appeso di fianco alla porta di casa di Martino.
La fabbrica di ombrelli era vicino alla città, dove comincia la pianura, ma adesso non c’è più.
Un pomeriggio di agosto Sergio è stato sorpreso dal temporale nei pascoli sotto il colle. Quel giorno era partito con uno di quegli ombrelli moderni, tutti di metallo con la tela fine. Un fulmine è passato dentro il manico e gli ha bruciato il braccio sinistro. Ci ha messo dei mesi a riacquistare la sensibilità e adesso viaggia con uno zaino e dentro lo zaino tiene una cerata, quando piove si copre con quella.
Martino ascolta e quando riparto ci salutiamo.

L’altro giorno sono ripassata da lì e ho visto che di fianco alla porta non c’era più l’ombrello. Sergio è passato l’altro giorno e ha detto a Martino di essere rimasto sorpreso dal temporale mentre passava lì davanti e che, non essendoci nessuno non aveva potuto chiederglielo, ma aveva preso l’ombrello per tornare a casa. Gli ha poi chiesto se poteva tenerselo e Martino ha acconsentito.
Fiera del Libro a Torino. Diluvia anche in città. Incontro degli amici e per raggiungere l’ingresso all’asciutto apro il mio ombrello azzurro. Visto che intorno a me tutti indossano una giacchetta di tela o di pelle, nessuno ha un cappello e nessuno apre un ombrello, offro ospitalità. La risposta è che non lo usano, perchè è un oggetto antiquato.

Amen

fuoco acceso telo tirato cavallo sazio per unire nella stessa avventura uomini cavalli e montagne