Fiera dell’est

Un futuro da fantascienza si sta appropriando delle città della steppa. Grattacieli, monumenti improbabili, giardini e parchi con fontane ed essenze esotiche accompagnano lo straniero verso centri luccicanti di vetri e marmi.
Fuori c’è la steppa. Dentro c’è lavoro. Anche qui si corre dentro per lavorare, si scappa fuori per riposare.
Sul confine c’è ancora il mondo dell’allevamento: vissuto fieramente da chi é rimasto in sella, guardato con compatimento da chi ha conquistato l’eleganza e il profumo all’ultimo grido.
Sopravvive sul confine, ma esiste.
Sono arrivata al mercato del bestiame in autostop alle sei di una domenica mattina: strade deserte, ma la terza macchina che è passata si è fermata e mi ha caricata.
Un gruppo di cavalli tirati al trotto dall’unico cavaliere confermava che non stavamo viaggiando verso il nulla ma verso una meta condivisa da altri.
Parcheggio gremito di automobili, pecore e persone con la pila che mettono in mostra agli acquirenti le grazie dei propri animali.
Si vedono le strisce di luce delle pile, si sentono belati, muggiti e nitriti, arriva alle narici l’odore dei fuochi, dove le donne friggono a più non posso e versano tè bollente in tazze di ceramica.
Gli uomini mercanteggiano animali vivi. Nascosta dal buio, posso permettermi il lusso di guardare senza che nessuno si accorga di me.
Certi vengono ammazzati sul posto, caricati e portati via prima che sia giorno. Rimane il sangue sul terreno. Ogni spazio é gremito di gente, cavalli, vitelli, capre e ci sono persino dei tacchini. Tutti girano al largo dalle chiazze rosse.

Un uomo vende capezze di tutte le misure. Non smette di incassare neanche per un attimo. Chi compra un cavallo, compra anche la capezza, prende una corda e se lo porta via.
Quando diventa giorno, divento riconoscibile e vado a nascondermi dietro una tazza di tè. Queste donne occupano la posizione giusta e mi metto al sicuro al loro fianco per trovare una chiave che mi permetta di tornare dai cavalli anche di giorno.
Sono tanti, tantissimi. Molti di loro sono belli da ammirare. Tutti hanno la steppa nel sangue, le gambe asciutte e il vento nella criniera. I duri viaggi in camion di quelli che arrivano da lontano hanno lasciato segni impossibili da nascondere. Non sono abituati a stare in piccoli spazi.
Forse la chiave é Nurlan: ha la mia età, la barba a punta, musulmano, tre mogli, molti cavalli. Mi si presenta con le foto che ha sul telefono: tutto un rodeo, una sfida. Andarsene in giro per la fiera con una donna che non é sua moglie e non capisce una parola di kazako é una sfida che lo diverte e a lui piace giocare.
Cavalli e persone continuano ad arrivare fino alle dieci. All’odore dei fuochi si mischia quello della fiera. Lo stesso posto cambia tantissimo alla luce del giorno. Un giorno crudo per molti degli occhi che ho guardato.
Sto male a vedere portare via questi animali. Lo so benissimo che se non ci fosse il macello non ci sarebbe l’allevamento. Lo so, ma mi fa male lo stesso. Ho mangiato carne di cavallo molte volte in questo viaggio. Mi é stata offerta in occasioni di festa, é la carne prelibata per le grandi occasioni. Era atto di amore. É stato un privilegio poter scegliere il primo boccone dal vassoio. Ringrazio tutti i cavalli che sono stati e saranno mangiati in futuro di aver offerto la loro bellezza e la loro forza a chi aveva qualcosa di bello da festeggiare e spero che gli zoccoli del branco da cui venivano continuino a risuonare sulla steppa.
I monumenti non fremono nella gioia del galoppo e non si mangiano, non sporcano e non ti guardano negli occhi. La vita che scorre in tutto quel sangue é libera e selvaggia fino all’ultimo giorno.

Addio Siberia

Sono sul treno che mi porterà in Kazakhstan, gli ultimi giorni in Russia sono stati come un film. Non ho potuto fare altro che giocare la mia parte e fare in modo che i cavalli fossero affidati alle cure di cui avranno bisogno nei prossimi tre mesi. Ho affidato i cavalli a persone che possono occuparsi davvero di loro. Non è gente di cavalli. É gente che non avrebbe mai pensato di prendersi cura di due cavalli mongoli. Sono arrivata a questo monastero grazie a una catena di incontri che era cominciata a Gorno Altajisk tre mesi fa.

Norlan, il celebre autista kazako che solca la Russia alla velocità di un dito sulla mappa dell’Eurasia e padre Feofan che varca la stessa soglia della stessa Chiesa nello stesso monastero, molte volte nello stesso giorno. Ogni volta all’unisono con molti uomini come lui che ripetono le stesse parole da centinaia di anni. Il loro viaggio nella parola sostiene cose reali ancora più distanti di Rostov e Vladivostok.

Parto con molte domande. Quando ero andata a Santiago credevo di essere partita per un pellegrinaggio e ho imparato a viaggiare. Quando sono partita per questa avventura, credevo di essere partita per un viaggio che sta diventando un pellegrinaggio.
Inutile addentrarsi in questo labirinto. Annoto solo gli anelli della catena.
Stazione degli autobus di Gorno Altajisk: incontro con Pit, lui e la sua famiglia diventano una bella amicizia.
L’ultima volta che ci siamo visti eravamo ad Aia, ospiti di Ivan che é il parroco ortodosso di quel villaggio.

Dalla Repubblica di Altai a Saratov, molte cose sono successe grazie all’incontro con Pit e Marina, ogni volta che un anello si aggiunge alla preziosa catena che mi lega a loro, mi chiedo cosa sarebbe stato questo viaggio se quel giorno fossi arrivata a Gorno Altai un minuto dopo.

Lui mi ha indirizzato a Karabennikovo, monastero ortodosso sulla mia rotta. Mi ci sono fermata un giorno, il monastero é stato vicino al viaggio anche quando ormai ero lontana.
Ci sono state molte persone che prima di partire mi hanno detto di avere ganci dove volevo far passare l’inverno ai cavalli per evitare la grana della frontiera Russia- Kazakhstan e Kazakhstan- Russia. Nessuna di quelle parole è diventata realtà. Quando sono arrivata all’ippodromo della città, ho dovuto ricaricare i cavalli sul camion e ripartire per ‘Nonsodove’. Mentre l’autista mi guardava con aria interrogativa e io non sapevo dove sbattere la testa, Vadim ha telefonato diverse volte da Karabennikovo e mi ha proposto di trovare una soluzione con l’aiuto dei monaci di un monastero non lontano da dove mi trovavo. Un luogo fuori dal tempo e forse anche fuori dallo spazio ha accolto i cavalli a braccia aperte. Padre Feofan ci aspettava, avvisato da Vadim, padre Ioann è venuto con me all’ufficio dell’ispettore veterinario per registrare ufficialmente che sta ospitando due cavalli mongoli in transito verso l’Europa. Mentre sarò lontana ci saranno tutti i controlli che renderanno possibile continuare il viaggio. Loro adesso hanno un tetto e io sto tornando verso casa.

La freccia è lì, pronta a riprendere il viaggio.
Il Kazakhstan sarà un’avventura vicina ai cavalli ma senza cavalli.