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guerriglia di pastori, cani e lupi.

2016 08 24 Katrin Benz
Pastora
Vacherie de Saint Saveur

Katrin Benz, pastora tra Ubaye, Mercantour e Provenza.
Katrin Benz, pastora tra Ubaye, Mercantour e Provenza.

– La nebbia era tale che, solo fidandomi della memoria dei miei piedi, potevo azzardarmi a raggiungere il gregge. Ero scesa a far commissioni e stavo rientrando a notte fonda. Per fortuna potevo contare su Benoit che quando si rendeva conto del pericolo restava con le pecore, senza che nessuno dovesse dirglielo.
La frontale illuminava un metro davanti a me e le gocce sospese riflettevano un fascio di luce bianca tutto dove guardavo impedendomi di vedere cosa ci fosse davvero. In mezzo alle rocce a sinistra del sentiero ho sentito uno strano ululato, non era potente come quando i lupi cantano, sembrava strozzato come un tentativo di ululato. Ho puntato la pila nelle rocce pensando che fosse Benoit che mi faceva uno scherzo e non ho visto niente ma ne è partito un secondo e poi un terzo. Il più vicino non poteva essere arrivato da più di un metro dal mio orecchio e quel furbetto continuava a non farsi riconoscere. Gli ho tirato una pietra e si è zittito ma dopo tre passi l’ho risentito alle mie spalle.
– beh, se proprio si sta divertendo, io non mi sto divertendo per niente.

Katrin sale al pascolo con l'acqua da bere nello zaino e i cani intorno. L'erba è già secca e l'acqua scarseggia dappertutto. Lei sorride alle difficoltà e le affronta con determinazione e serenità. Con dieci litri d'acqua lo zaino pesa, dieci litri di acqua servono per bere e cucinare alla capanna che si trova a un'ora di cammino dalla sorgente più vicina.
Katrin sale al pascolo con l’acqua da bere nello zaino e i cani intorno. L’erba è già secca e l’acqua scarseggia dappertutto. Lei sorride alle difficoltà e le affronta con determinazione e serenità. Con dieci litri d’acqua lo zaino pesa, dieci litri di acqua servono per bere e cucinare alla capanna che si trova a un’ora di cammino dalla sorgente più vicina.

Ho raggiunto il gregge e Benoit era lì nel suo saccopelo infilato dentro un sacco di plastica -non era lui a fare quegli ululati smorzati- che cercava di dormire sotto la pioggia sempre più fradicia. L’ho imitato andando a mettermi dall’altra parte del gregge. Ogni tanto i cani abbaiavano svegliandoci, puntavamo le pile nella loro direzione e vedevamo i lupi scappare ma appena la pioggia mollava, tornavano. Quando erano lontani ululavano e alcune delle loro voci erano come quella che avevo sentito nelle rocce. Non era uno scherzo! Ogni volta che si avvicinavano li respingevamo ma in una notte così non sai cosa può succedere, possono uccidere delle pecore ma possono anche uccidere i cani e finchè non c’è stata abbastanza luce per contarli, ho continuato a temere per loro. Per fortuna a una certa ora diventa sempre giorno ma abbiamo dovuto rimanere lì a turno senza lasciarle mai, non è stata presa neanche una pecora.

– Ecco, ci hanno messo il lupo nero e noi dobbiamo dar da mangiare al lupo bianco per tenerlo a bada.
Quando arrivano in branco sono terribilmente furbi, si mettono d’accordo e sono capaci di istigare un cane per volta portandolo fuori tiro dagli altri per ucciderlo. L’anno scorso ne ho perso uno che non era ancora esperto e non ha avuto il tempo di diventarlo. Altre volte richiamano l’attenzione di tutti i cani su un lato del gregge e intanto uno o due di loro si occupano delle pecore sull’altro lato.
Non è così semplice come dicono, qui ogni volta che salta fuori una nuova astuzia, bisogna trovare il modo di combatterla. Ogni giorno è guerriglia.

– Finchè siamo quassù nel pulito è facile tenere sotto controllo tutto il gregge, mettendosi in un buon punto di osservazione lo si vede tutto. A settembre scendiamo a mangiare l’erba della montagna bassa che è tutta nel bosco. Lì non si vede mai bene tutto e la nebbia non si fa attendere, se manca un paio di pecore non te ne accorgi finché non vai a cercare proprio quelle lì e magari sono state mangiate un paio di settimane prima in un vallone inaccessibile. Là sotto non si vede niente. Le perdi e basta e non puoi neanche richiedere i risarcimenti perché se non c’è il cadavere appena ucciso nessuno è in grado di accertare che una certa pecora è stata uccisa proprio dal lupo e se non trovo i resti, sono io che non sono capace di fare il mio mestiere.

Katrin e Sarah sistemano l'equipaggiamento dei cavalli prima di affrontare la parte più selvaggia del sentiero che porta alla Vacherie in un'ora di boschi, rii e praterie
Katrin e Sarah sistemano l’equipaggiamento dei cavalli prima di affrontare la parte più selvaggia del sentiero che porta alla Vacherie in un’ora di boschi, rii e praterie

Queste storie Katrin me le raccontava mentre mangiavamo il ratatouille in scatola scaldato sul fornello della capanna alta, proprio sotto la vetta di Mont Saint Saveur.
Katrin è uno spirito libero, nessuno la imbriglierà mai, vive con gli animali da sempre e sia con loro che con le persone si comporta con rispetto. È il rispetto in persona e questo la rende una donna libera.
Raccontava queste storie ridendo della fatica e dell’assurdità della sua situazione. Lei sa di essere come il lupo e come la pecora e ama le sue pecore ma ammira anche i lupi da cui deve difenderle, i suoi cani sono per lei amici preziosi e l’idea di perderne anche uno solo le fa mostrare i denti a chiunque voglia portarglielo via.
È una delle persone più sensibili e forti che io abbia mai incontrato, quelle montagne che nutrono i suoi cavalli e le sue pecore sono parte di lei e sono scoscese e selvagge.

Katrin e Isotta di fronte alla valle della Tinèe. Se tiri una pietra dalla Vacherie, è probabile che arrivi direttamente nel fiume che scorre quasi duemila metri più in basso, per arrivare qui c'è un sentiero segnato solo dal passaggio delle mandrie che pascolano quassù, percorso a testa alta dai lupi, da Katrin e dai suoi cavalli. Da qui si vede il mare, sono le Alps Maritimes!
Katrin e Isotta di fronte alla valle della Tinèe. Se tiri una pietra dalla Vacherie, è probabile che arrivi direttamente nel fiume che scorre quasi duemila metri più in basso, per arrivare qui c’è un sentiero segnato solo dal passaggio delle mandrie che pascolano quassù, percorso a testa alta dai lupi, da Katrin e dai suoi cavalli. Da qui si vede il mare, sono le Alps Maritimes!

ps: lo stato francese, conscio del fatto che i lupi sono una ricchezza e un problema concede ai pastori diversi aiuti per affrontare la situazione.
Ogni pastore può scegliere due tra i seguenti aiuti:
– reti per costruire i recinti per il ricovero notturno delle greggi
– l’80% dello stipendio di un pastore dipendente che aiuta a guardare gli animali
– cani da guardiania
Katrin ha scelto di farsi aiutare da una persona e di richiedere le reti per i recinti. I cani preferisce sceglierli e allevarli lei come ha seempre fatto.

 

Ci sono i lupi, ma ci siamo anche noi.

2016 08 16 Mauro Bongiovanni
Alpe Tartarea
Allevatore di bovini

Mauro Bongiovanni. Alpe Tartarea
Mauro Bongiovanni. Alpe Tartarea

Le nuvole si stanno attaccando alle montagne, l’aria è bollente, umida ed elettrica. Anni fa ero scesa dalla strada che sto risalendo e mi ero fermata a comprare della toma all’alpe Tartarea: uno di quei pezzi di formaggio che a distanza di anni te li ricordi ancora. Mi sono fermata per cercarlo di nuovo ma non ne hanno più. All’epoca in questo alpeggio erano due soci che tenevano gli animali insieme, uno con animali da carne e l’altro da latte, era l’altro a mungere e fare il formaggio. Adesso ha preso un alpeggio per conto suo, munge al pascolo e porta il latte a valle per lavorarlo in caseificio. Non era possibile allestire un locale di trasformazione del latte in alto e per continuare a fare il formaggio ha dovuto adeguarsi al sistema di lasciare la mandria incustodita la notte e di salire in auto due volte al giorno per prendere il latte.
Mi sono fermata lo stesso perché il socio che è rimasto qui è Mauro e questo posto c’è l’ha talmente attaccato alla pelle che non riusciamo a staccarcene neanche noi. Isotta bruca tranquilla, io mi cucino un riso e chiacchiero con lui di fianco alla tettoia dove passano la notte le mucche con il vitello.

La prima volta che li ho sentiti ululare era il 2011: quel suono taglia la nebbia a coltellate, lo vedi quasi riempire ogni anfratto. Gli animali sanno che cos’è, senza che nessuno glielo debba spiegare.
L’anno scorso ne ho visti quattro risalire il vallone, arrivavano da Meire Bigorie e risalivano a passo deciso al colle del Cervetto. Erano due adulti e due giovani, camminavano spediti come se la montagna fosse in piano e non hanno mai voltato nè abbassato la testa. La mandria era fuori rotta rispetto alla loro destinazione ma se se la fossero trovata davanti temo che non sarei riuscito a difenderla da quattro lupi.
Non ho mai subito dei veri attacchi, capita che lui faccia dei tentativi ma le mucche si difendono, si riuniscono compatte e lo fronteggiano. Fa paura comunque. La questione non è quel capo che è in grado di abbattere, è l’idea che in una notte di nebbia può esser capace di spingerne dieci o dodici in un burrone e allora non c’è niente da fare, la mandria non può rimanere la stessa.
Quest’anno ci ha provato due volte. La prima volta le ha solo spaventate, io ero qui è in un baleno ho visto la mandria che cominciava a girare a velocità sostenuta sul pendio di fronte spostandosi in modo strano. Tempo di arrivare lì vicino e lui era già sparito. Le aveva solo spaventate. L’altra volta era riuscito ad isolare una manzetta, quella in particolare non è uno degli animali più furbi e probabilmente lui l’ha scelta per quello, la stava spingendo verso le rocce sotto il pascolo e tutte le altre erano agitate e hanno fatto rumore finché Vasile, l’operaio rumeno che mi dà una mano, è corso sul posto e lo,ha spaventato. Anche lì è sparito, ma per quanto? Dargli fastidio è un modo per fargli passare la voglia di tornare, ma la volta che riuscirà ad eludere la nostra sorveglianza?
Quello che li attira di più è l’odore del sangue e quando una mucca partorisce, vitello e placenta sono un bel richiamo. Quando sono a termine, le porto vicine alla casa e di notte in questo paddock, preferisco dare del mangime e tenerle sotto controllo che rischiare che si isolino per partorire cacciandosi nei guai lontane dalle altre. Una mucca con il vitello appena nato rischia troppo e non sono animali selvatici, sono capaci di vivere in semilibertà ma non di sopravvivere alla natura, hanno bisogno di essere accudite.

Per ottenere i risarcimenti in caso di attacco da lupo sono state messe tante di quelle clausole che è proprio meglio che non arrivi. Pretendono che gli animali siano chiusi in un recinto di rete elettrificata alto un metro e venti: un recinto del genere non puoi spostarlo tanto spesso, le reti sono pesanti e quelle alte lo sono ancora di più. Portarle ogni sera al recinto man mano che mangiano l’erba più vicina diventa una difficoltà: si rovinano sia gli zoccoli che non sono fatti per camminare così tanto che la montagna che, passando così tante volte con centocinquanta animali, comincia a franare nei punti critici. Quello che posso fare senza fare danni è tenere vicine a casa le madri con i vitelli. Gli altri animali devo lasciarli liberi di difendersi a vicenda. È un rischio, ma se certi sentieri cominciano a crollare, certi pascoli non posso più farglieli raggiungere. Qui siamo da soli.
Esistono delle assicurazioni e quella è una delle attività che beneficiano di più del ritorno del lupo: non sai se e quando arriverà, ma potrebbe succedere e arrecare grossi danni, se arriverà e le difese in atto non saranno all’altezza di tutte le clausole del contratto, potrai aver pagato l’impossibile ma non verrai risarcito. Se i danni supereranno una certa cifra, in ogni caso verrai risarcito solo fino a quella cifra. Non è un bel pensiero. Il rischio rimane lo stesso.

– vuoi del latte nel caffè?
– Grazie
Tira fuori una bottiglia di latte che non arriva sicuramente da un cartoccio
– ma quel latte da dove arriva?
– L’ho munto stamattina. Non posso fare colazione senza latte!
– Buonissimo!
Sellando prendo il materiale che avevo appoggiato dietro la casa e mi cade l’occhio su una tavoletta di larice liscia come l’avorio al cui centro è incastrato un bastone lungo una trentina di centimetri. Lo sgabello per mungere.