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le piste attraverso la foresta di Vercingetorige

In un viaggio verso il Massiccio centrale, mi ero trovata ad attraversare le foreste da cui Vercingetorige aveva ostacolato l’avanzata di Giulio Cesare in Gallia tanti secoli prima. E’ una regione davvero perduta e affascinante, percorsa da una rete di piste incantevoli circondate da alberi talmente antichi, che forse qualcuno era già lì quando Vercingetorige ci si nascondeva. Andando verso Florac il calore faceva tremare le distanze e c’è stato un tratto interminabile attraverso la foresta. Credo che ci siano volute quattro ore per attraversarla. Tutto era rallentato. Al ritorno dovevamo percorrere quello stesso tratto, ma siamo partite prima dell’alba e mentre il sole spuntava, dopo un’ora e mezza, eravamo già al castello che ne segnava il limite ed eravamo fresche con i cavalli riposati. Se avessi dovuto disegnare a memoria una mappa di quel tratto di pista dopo averlo percorso all’andata, sarebbe venuto lunghissimo, viceversa se avessi dovuto disegnarlo dopo averlo percorso al ritorno.

l’opera è un piccolo quadretto che rappresenta la mappa di una parte di Parigi, insieme ad altri disegnati con lo stesso criterio. Vuole andare oltre la geografia convenzionale per raccontare come l’esperienza dello spazio permetta di dare un volume ai posti dove ci si è fermati ad osservare e non riesca a superare le due dimensioni dei percorsi dove si è solo passati per andare da qui a lì. I quartieri della città dove si conosce ogni palazzo e ogni incrocio sono dettagliati dall’esperienza. Il resto esiste, ma non ha rilievo. Più l’esperienza è approfondita, più aumentano i dettagli che corrispondono al tempo che si è dedicato a conoscere un luogo, piuttosto che un altro.

Era successo altre volte prima ed è capitato in seguito che lo spazio si dilatasse o restringesse nell’esperienza, a seconda di come stavo io o i cavalli, del meteo, della tensione verso qualcosa. Quella volta era stato evidenziato dall’orologio che mi ha permesso di mettere a fuoco questa idea: lo stesso spazio può essere cose diverse a seconda dell’esperienza, la sua rappresentazione geometrica aiuta ad orientarsi, ma è solo uno strumento. Scegliere dove e come dare volume allo spazio assomiglia a scegliere dove e come dare volume alla vita.

La mappa del mondo 3 di 5

le vie per raggiungere Santiago sono tante quanti sono i pellegrini che arrivano laggiù. il flusso si addensa avvicinandosi alla cattedrale, ma ciascuno a suo modo, ci si arriva con percorsi diversi.

“Le strade che collegano il mondo abitato, sono confini che isolano mondi a sé stanti, in cui non c’è nessuno. La rotta di un viaggiatore a cavallo nel XXI secolo, ne tiene conto per scoprire i varchi dove attraversarle, subendo il meno possibile la loro corrente, impetuosa o tranquilla a seconda dell’orario e delle dimensioni dei centri che collegano.
In tempi andati, non così lontani ma estinti, i cavalli viaggiavano sulle strade. In quest’epoca conviene evitarle.
È successo che, guardando come evitare le strade, come erano fatte le montagne e dove passavano i fiumi, sono andata a finire su antiche rotte in disuso, nascoste oltre il confine del traffico.
Le strade non sono sempre state negli stessi posti ma le mete sì.
Gli animali hanno bisogno delle stesse cose da sempre, a maggior ragione quando lavorano.
Hanno bisogno di cereali, pascolo e acqua, di riposare al riparo dal vento e dal fulmine, di sostenere il minimo dislivello possibile.
Tenendo conto di queste esigenze e della geografia, non ci sono tante possibilità, ci si ritrova a camminare su pietre consumate dal logorio di altri passi. Anche dove le antiche vie di collegamento sono ormai cancellate dall’abbandono, hanno lasciato delle tracce.”

da Campo di Stelle a cavallo a Santiago

La mappa del mondo 2 di 5

per superare ad Arles, Robi aveva indicato dove raggiungere i binari della ferrovia e mi aveva detto che l’unico modo per non fare strade era percorrerli fino al ponte sul canale del Rodano B. Erano 10 chilometri di ferrovia in cui abbiamo proceduto sui binari con le orecchie tese per la paura che da un momento all’altro arrivasse un treno. Quando mi sono sentita in salvo oltre il ponte l’ho chiamato dalla prima cabina telefonica per dirgli quanta paura avevo avuto e che ero stata proprio fortunata perché non era arrivato neanche un treno. Ha riso come un matto lasciandomi interdetta e poi mi ha assicurato che era da 10 anni che su quella linea non passava nessun treno. Devo ancora vendicarmi adesso.

Un giorno sono uscita dal perimetro che delimitava la cartina di Alta val di Susa, Chisone e Germanasca. Quel foglio andava ben oltre il Monginevro e mi ha accompagnata fino in Francia.  Cime e fiumi erano tutti da scoprire, la gente parlava un’altra lingua che non capivo ancora e un giorno mi sono fermata da Robi nel Luberon. Lui è un viaggiatore a cavallo ed era andato a Santiago da lì vent’anni prima. Mi ha mostrato le carte di quel viaggio, indicandomi i trucchi migliori per vedere le cose più belle, tenendomi alla larga da civilizzazione e guai. Gli appunti che mi ero presa con le sue dritte mi hanno guidata fino a Finisterre. Sulla cartina l’unica via per andare da casa sua alla tappa successiva sembrava la strada asfaltata. Lui mi ha voluto accompagnare per un pezzo e in quel tratto non c’era neanche il rumore della strada. Le nostre strade si sono divise a ovest di Cucuron. Lì il sentiero finiva e davanti a noi si vedeva una foresta uniforme senza tracce. Ha indicato un traliccio dell’alta tensione su una sella oltre la valletta e mi ha consigliato di passare dalla foresta mirando lì e che da lì avrei dovuto traguardare alla sella seguente e avanzare in fuoripista per tre valli, fino a una strada sterrata che mi avrebbe condotta al ponte sul Rodano.
Le sue indicazioni hanno funzionato alla perfezione e ho potuto farmi aiutare da tracce di animali selvatici per arrivare proprio dove volevo.

 

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la cartina è utile per trovare il cammino, ma per questo basterebbe guardarla a casa e memorizzare l’itinerario studiandolo. E’ bello portarsela dietro per poter dare un nome a cime, colli e villaggi che appaiono a distanza mentre si sale.

La mappa della Bassa Val di Susa ha preso molti temporali, l’ho stesa al sole ad asciugare, ho dovuto rattopparla con lo scotch, ho provato a cucirla, non ha più la copertina. L’ho girata in lungo e in largo, sempre a cavallo. Non sono ancora riuscita a camminare su tutti i sentieri che rappresenta, non so se ci riuscirò mai. Battere un territorio da cima a fondo per ammirare come sono belle tutte le roccette di cui avvisano le curve di livello, riposare o galoppare in tutti i prati, assaggiare l’acqua di ogni sorgente e fare il bagno in tutti i laghi é un progetto ambizioso. Il tesoro che si trova alla fine del gioco è quasi psichedelico: guardando la mappa, sembra di rivedere ogni cosa: i dislivelli si trasformano in storie, i fiumi in guadi. Il bello di non arrivare mai in fondo é che ogni volta che la guardi in quel modo, alcune aree rimangono a due dimensioni, sono quelle mai approfondite, in cui rimane campo per l’esplorazione. Non credo che mi sazierà mai. Scoprire un nuovo pascolo, una famiglia di allevatori, un cacciatore o un motociclista, una tana o un castagno ricco di secoli richiede di tornare. Non basta incontrarsi una volta per conoscersi. Torna qui e torna là, fai una strada nuova per andare nello stesso posto e al ritorno fanne un’altra. Cerchi la civilizzazione e modifichi la rotta per incontrare villaggi, la sfuggi e modifichi la rotta per rimanere in cresta. Trovare tutti i trucchi per aggirare l’autostrada, la ferrovia e le statali. Una superficie di 1200 kmq é già sconfinata. Uscire dalla cartina della Bassa Val di Susa é una scommessa: oltre certe cime é tutto nuovo, entro il perimetro tutto é in evoluzione.

 

L’armonia del vento

Smilzo era un maremmano gigantesco.  Quando lo ho visto l’ultima volta, nel suo aspetto non c’erano più somiglianze con il cavallo che aveva ricevuto questo nome. Era un personaggio: mi ha accompagnata mentre studiavo e quando accendevo il mangiacassette veniva alla finestra a sentire. Se alzavo il volume si allontanava, quando lo abbassavo si avvicinava, certi motivi lo lasciavano incantato, altri non gli interessavano e si rimetteva a brucare intorno alla casetta dove studiavo, in attesa di qualcosa di meglio.

E’ stato il primo cavallo con cui ho provato a passare delle notti in montagna in autonomia e il suo interesse per la musica mi sembrava normale. I cavalli amano l’armonia e in certa musica c’è una ricerca di armonia.

maggio 2018, in viaggio per Bardonecchia, dove Isotta ha trascorso le due estati in cui arrivavo dalla Mongolia con Custode e Tcigherè. L’incontro con l’arpa sotto il castello di Caprie l’ha stupita. Ha smesso di brucare e si è messa ad ascoltare.

Ogni volta che mi entra un motivo in testa e non se ne va, mi viene l’istinto di fischiettare. Salendo sulla pista della Mulatera, si arriva a un traverso che segue la costa della montagna e di colpo cambia versante. Prima sei nel bosco, poi sei tra aridi pascoli tagliati dalla pista che sale inesorabile. Era il tramonto e la luce delle rocce e del cielo creavano un’atmosfera speciale. Con qualsiasi tempo e in qualsiasi stagione, lo spettacolo che si apre in quel punto è grandioso. Quella volta io guardavo la criniera di Giacomo Re che avanzava con passo preciso e proprio in quel punto mi sono messa a fischiettare un motivetto insulso. Giacomo si è girato e mi ha guardata con aria di rimprovero. Ogni volta che sono passata da lì dopo quel giorno, ho provato lo stesso senso di inadeguatezza.  Giacomo Re mi ha insegnato tante cose, ma soprattutto quel giorno. Il suo sguardo aveva detto: ‘ma come fai a non vedere che qui c’è già la musica del vento?’